La scorsa settimana ho letto un articolo sul Sole 24 Ore che mi ha fatto riflettere, ancora una volta, sul significato dell’home working, le sue regole e l’importanza della comunicazione. Devo ammettere che la mia esperienza con il lavoro da casa non è stata delle migliori e lo stesso vale per alcune delle persone con cui ne ho discusso.

Cercherò quindi di spiegare ed approfondire il mio punto di vista, i miei dubbi, forse un po’ da boomer (anche se non appartengo alla generazione) e i punti su cui credo si debba lavorare maggiormente!

Inizio col dire che non mi considero una “purista” dell’home working (in questo sono boomer!). Apprezzo la flessibilità che offre, ma credo che molte aziende, dopo la pandemia, abbiano adottato questo modello senza dotare i dipendenti degli strumenti e delle strategie organizzative necessarie.

In particolare non c’è stata formazione sui punti essenziali:

1) Lavorare per obiettivi: mito o realtà?

Questa, a mio avviso, è la vera sfida. Molte aziende hanno semplicemente trasferito l’attività in remoto senza modificare il sistema di lavoro. E allora mi chiedo: stiamo davvero lavorando per obiettivi, come questa modalità richiederebbe, oppure stiamo solo replicando dinamiche d’ufficio tra le mura di casa?

Il “lavoro per obiettivi” nell’ambito dell’home working si riferisce ad un approccio organizzativo in cui il successo del dipendente viene valutato in base al raggiungimento di obiettivi specifici e misurabili, piuttosto che sul numero di ore trascorse lavorando o sulla presenza fisica in ufficio.

In pratica si struttura in:

  1. Definizione chiara degli obiettivi: Gli obiettivi devono essere chiaramente definiti e comunicati. Questi possono includere il completamento di un progetto, il raggiungimento di determinati risultati di vendita, o il miglioramento di specifiche metriche di performance.
  2. Autonomia del lavoratore: Nel lavoro per obiettivi, i dipendenti hanno maggiore autonomia nel decidere come organizzare il proprio tempo e come raggiungere gli obiettivi prefissati. Questo richiede fiducia da parte dell’azienda e una maggiore responsabilità da parte del lavoratore.
  3. Valutazione basata sui risultati: Il focus è sui risultati ottenuti piuttosto che sulle ore lavorate (in Italia il tema delle “ore lavorate” merita senza dubbio un’analisi specifica che farò in un altro articolo). Se un dipendente raggiunge o supera gli obiettivi stabiliti, è considerato produttivo ed efficace, indipendentemente da dove o quando ha lavorato.
  4. Flessibilità: Il lavoro per obiettivi si sposa bene con la flessibilità offerta dall’home working, permettendo ai dipendenti di conciliare meglio lavoro e vita privata, pur mantenendo alta la produttività.
  5. Strumenti e misurazione: Per funzionare correttamente, è essenziale avere strumenti adeguati per monitorare i progressi e misurare i risultati. Questi possono includere software di gestione dei progetti, report di avanzamento e feedback regolari.

Pertanto il lavoro per obiettivi nell’home working permette di spostare l’attenzione dal “quando” e “dove” si lavora al “cosa” si produce, favorendo una maggiore efficienza e un miglior bilanciamento tra vita professionale e personale. Tuttavia, per essere efficace, richiede una chiara comunicazione, un’attenta pianificazione e un sistema di misurazione adeguato, capacità che non sempre le aziende sono riuscite ad attivare!

2) La mancanza di socialità e il senso di appartenenza al team.

Un altro punto cruciale riguarda la socialità e l’attaccamento al team.

L’home working prolungato rischia di compromettere questi aspetti. Non fraintendetemi, apprezzo la flessibilità del lavoro da casa, ma credo fermamente nel valore dei rapporti umani diretti, soprattutto sul lavoro. Non si tratta solo di “fare amicizia” tra colleghi, ma ci sono situazioni in cui saper “annusare l’aria” paga molto più di qualsiasi formazione sulla leadership. E l’aria la “annusi” quando condividi gli spazi con il team con cui lavori, quando sai ascoltare le parole non dette e leggere gli sguardi.

Ho visto personaggi di grande potere aziendale, con alle spalle formazioni importanti sul tema e convinti della propria leadership, fare errori madornali proprio per la volontà di mantenere le distanze e l’incapacità di condividere gli spazi con chi lavorava con loro. Ugualmente ho parlato con persone che dopo lunghi periodi di home working hanno perso completamente il senso di appartenenza al team di cui facevano parte, trasformando la condivisione di obbiettivi e valori da raggiungere in mera attività amministrativa fine a se stessa.

3) L’importanza dell’immagine e dell’etichetta.

Infine, c’è il tema dell’immagine, personale e dell’azienda.

Anche lavorando da casa, credo sia importante mantenere un minimo di etichetta professionale. La credibilità e l’autorevolezza possono essere messe in discussione quando ci si presenta in video con lo sfondo della cucina disordinata o dei bambini che giocano: ogni contesto lavorativo ha bisogno del giusto ambiente.

Ho spesso notato che molti preferiscono sfondi neutri o addirittura istituzionali, quasi a voler sottolineare la propria professionalità. Vi riporto un esempio personale: durante il lock down mi ero cimentata in una sorta di ricerca e avevo notato come quasi tutti i consulenti, chiamati dai vari media ad esprimere parerei politici su fatti accaduti negli Stati Uniti, avevano sullo sfondo una parete con inquadrata una copertina del “New Yorker”, il famoso periodico americano amato negli ambienti intellettuali e caratterizzato da uno stile narrativo ironico. Quasi a testimonianza della propria appartenenza all’élite intellettuale!

Non dimentichiamo poi che, l’immagine trasmessa durante le video call può variare significativamente a seconda della cultura nazionale di riferimento. Ogni cultura ha norme e aspettative diverse riguardo al comportamento, all’abbigliamento e alla presentazione personale. Ad esempio, in alcune culture occidentali, un approccio più informale può essere accettabile, come lavorare in un ambiente domestico visibile con un abbigliamento casual. In altri contesti, come in molte culture asiatiche, potrebbe essere attesa una maggiore formalità, con uno sfondo neutro e un abbigliamento formale, anche durante il lavoro da casa.

Anche le norme di interazione possono variare: in alcune culture, si dà molta importanza al contatto visivo e alla postura, mentre in altre si può preferire un approccio più rilassato: comprendere le differenze culturali è essenziale per trasmettere un’immagine che sia percepita come professionale e rispettosa, adattando la propria presentazione alle aspettative culturali dell’interlocutore

Pertanto non possiamo negare che il COVID e, a seguire la cultura dell’home working, hanno trasformato il nostro modo di lavorare, ma è fondamentale affrontare queste sfide con consapevolezza e adeguata preparazione. Solo così potremo sfruttare al meglio la flessibilità che offre, mantenendo al tempo stesso produttività, coesione del team e una solida immagine professionale.