
L’altra sera mi sono riguardata un film cult per le ragazze della mia generazione: Il Diavolo veste Prada. Un film del 2006 diretto da David Frankel, con un cast stellare dove primeggiano le protagoniste: Meryl Streep e Anne Hathaway.
Ma mentre lo guardavo per l’ennesima volta, forse condizionata da una giornata in cui avevo discusso un po’ troppo con e di generazione Z, ho iniziato a sentire un po’ di inquietudine e a pormi domande su quanto la trama fosse ancora realistica.
Mi spiego meglio: la mia generazione è stata educata, come dice all’inizio la protagonista, che se accettavi un ruolo minore poi avresti dimostrato quanto valevi e l’occasione di realizzare il tuo sogno lavorativo sarebbe arrivato.
Tutte storie! In molti sono ancora lì ad aspettare il proprio treno, ignari (o forse no) che la generazione antecedente inizia ora a dare qualche segno di cedimento, ma si rifiuta di lasciare i ruoli apicali, e quelle successive già sgomitano per ottenere loro le posizioni decisionali, forti della consapevolezza di essere più tecnologici ed innovativi.
Insomma, ci sembra di essere stati fregati da entrambe le parti! E di coetanei depressi o demotivati da questa situazione lavorativa ne sento sempre di più!
Che poi, per tornare al film, ve la immaginate la generazione Z accettare frasi come “Qualcuno sa dirmi perché il mio caffè non è ancora qui? È morta per caso?” oppure “Sei pregata di annoiare qualcun altro con le tue domande”… Io ricordo un capo che se uscivi alle 5 ti diceva (per nulla scherzando)”oggi part-time?”.
Sicuramente odiavamo anche noi quelle mere dimostrazioni di potere fini a se stesse, ma vi assicuro che ho amato il mio lavoro molto più in quel periodo, quando davo il 1000 per 100 su qualsiasi incarico e ci mettevo l’anima perchè ci credevo veramente, che non nei momenti di maggiore tranquillità o bilanciamento vita/lavoro, quando avevo preso le distanze.
Sia ben chiaro non dico che ci sia un comportamento giusto e uno no, ma il film mi ha fatto riflettere (ancora) su come siano cambiati i tempi e le priorità delle persone. Soprattutto sul fatto che queste generazioni così diverse, cresciute con idee quasi opposte, oggi si trovano, loro malgrado, a condividere l’attività lavorativa (in azienda, nella libera professione, nelle istituzioni) e debbono essere supportate, in modi differenti, per arrivare a confrontarsi e parlare un linguaggio comune.
E chissà se è ancora vera una delle frasi finali del film, quando l’assistente si licenzia e il “Diavolo” le risponde “Oh, non essere ridicola, Andrea! Tutti vogliono questa vita. Tutti vogliono essere noi!”. Mi chiedo se, in quest’epoca in cui sembra che siano i candidati a decidere se e a che condizioni accettare un lavoro, esistono ancora lavori (o vite) che tutti vogliono!
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